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Il decalogo del Social Media Manager professionista

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DECALOGO-SMM-PROFESSIONISTA

Tra i 15 profili più ricercati di LinkedIn, annoverato nella rosa dei lavori tech del momento e nella lista dei lavori più richiesti nel 2021, quella del Social Media Manager è decisamente una professionalità molto ricercata nel mondo del lavoro e, complice la pandemia che ha accellerato la digitalizzazione di molte aziende, probabilmente lo sarà anche di più in futuro.

Uno dei problemi più grandi però di questo lavoro è che al momento non c’è nessun albo o esame che certifichi in modo univoco la professionalità e la competenza di chi si auto-proclama Social Media Manager, lasciando campo libero a una marea di improvvisati (o “certificati” da 8 ore di corso online) che si vendono come professionisti del Social Media Marketing, senza di fatto avere né le competenze né le esperienze per farlo.

Come distinguere l’improvvisato dal professionista?

E come, dall’altra parte, lavorare in modo professionale e strutturato per portare risultati ai propri clienti e distinguersi dagli altri?

Ecco quelle che, secondo me, sono le regole fondamentali che chiunque lavori nel Social Media Marketing dovrebbe seguire.

1. Qualunque sia l’obiettivo di business del cliente, deve passare attraverso il coinvolgimento

dobbiamo creare piani editoriali per i nostri clienti in grado di coinvolgere per convertire, non fare i “passacarte” delle promozioni che ci gira il cliente

Le persone usano ogni giorno, più volte al giorno, i social per raccontarsi, informarsi e relazionarsi ed entrare a gamba tesa nella loro Sezione Notizie con post autoreferenziali e palesemente pubblicitari sarebbe è il modo migliore per farsi ignorare, se non addirittura “nascondere”. Questo significa che dobbiamo creare piani editoriali per i nostri clienti in grado di coinvolgere per convertire, che rispettino le dinamiche degli spazi in cui vogliamo comunicare.

Insomma, se il nostro piano editoriale è fatto solo o per la maggior parte di promozioni strillate e post autoreferenziali, abbiamo un grosso problema (e non sono di engagement che, verosimilmente, sarà molto basso).

Questo significa che con i social non si può vendere?

Assolutamente no, ma che per farlo dobbiamo rispettarne le dinamiche, quindi:

– dobbiamo capire chi sono le nostre target persona

– dobbiamo rispondere ai loro bisogni e desideri con i nostri contenuti. Informiamo? Educhiamo? Emozioniamo?

– dobbiamo creare contenuti che siano visivamente coinvolgenti e che risaltino nel Feed, rispettando gli obiettivi e i valori del brand

2. Non guardiamo solo al numero di fan e interazioni, definiamo obiettivi e KPI business-oriented

Alla fine del mese le bollette non le paghiamo con i like e i commenti

ll vero professionista analizza la situazione del cliente, ne valuta gli obiettivi e definisce degli indicatori per misurarne quantitativamente e qualitativamente il raggiungimento e non si ferma al mero conteggio delle interazioni. Naturalmente ogni settore ha dinamiche differenti, i social ricoprono ruoli diversi in base al Customer Journey e non tutte le attività offrono le stesse modalità di vendita immediata e tracciamento dei risultati, ma è fondamentale darsi degli obiettivi e identificare delle metriche di riferimento (KPI) da monitorare per dare conto di cosa portiamo a casa.

Soprattutto con i clienti più piccoli è fondamentale portare risultati tangibili e concreti il prima possibile, in questo senso la Lead Generation, la Customer Care, ma anche la generazione di vendite in modo diretto o indiretto dai social diventano molto importanti per dare conto del proprio lavoro.

3. È fondamentale analizzare identità, reputazione e obiettivi del brand prima di iniziare a pubblicare

Il Social Media Plan è come una dieta. Ti fideresti di un dietologo che senza nemmeno farti una domanda e studiare i tuoi bisogni e obiettivi ti rifila un piano alimentare?

Il vero professionista sa che è di cruciale importanza fare una serie di domande al cliente prima ancora di prenderlo in carico e a maggior ragione dopo averlo acquisito, proprio per poter creare un piano basato sugli effettivi bisogni, potenzialità, risorse del brand (se vuoi, approfondisco questa parte nel corso in partenza “Come gestire il cliente”). 

Non solo, è anche molto importante la fase di Analisi, per capire da dove partiamo, qual è la reputazione dell’azienda che dobbiamo supportare e definire obiettivi chiari con maggiore cognizione di causa.

Come dire, l’improvvisato si lancia subito sull’operatività (inizia a pubblicare “cose” sugli account social), il professionista domanda, analizza, pianifica, sottopone ad approvazione e POI inizia a pubblicare.

4. Prevediamo SEMPRE un budget per le social ads

Se vuoi portare risultati nel breve, medio e lungo termine, il budget pubblicitario va sempre previsto e adeguatamente distribuito.

SEMPRE, non solo per saldi e promozioni, anche per dare la giusta visibilità ai post previsti dal pano editoriale, anche e soprattutto se si tratta di un brand microscopico.

Questo vale in particolare per social come Facebook e Instagram in cui la portata organica (il numero di persone raggiungibili senza pagare) è in continuo declino da anni, in cui si raggiunge sempre e solo una parte (in molti casi minima) dei propri follower. 

Si tratta di un budget che va erogato periodicamente ed in modo adeguato, ovvero non solo per interazioni e acquisizione di fan, ma in base al grado di maturità del brand e agli obiettivi primari, in base alla stagionalità e a tutta una serie di altri fattori che il professionista sta identificare per fare un piano di investimenti personalizzato.

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5. Accertiamoci di avere un prodotto/servizio che la gente vuole (o potrebbe volere) e una buona reputazione… poi pensiamo ai social

Nella maggioranza dei settori non bastano i social per portare risultati nel medio lungo periodo, ma è necessario presidiare tutti i canali che i potenziali clienti usano per informarsi, ispirarsi, approfondire e convertire (e questo deve essere chiaro al cliente fin da subito)

Parte del lavoro del Social Media Manager professionista sta anche nel capire come e quanto i social possano impattare nel percorso di acquisto di un determinato brand: va da sé che se un prodotto/servizio ha una cattiva reputazione (e chi lo gestisce non ha intenzione di lavorarci sopra), se non c’è alla base un solido business plan e quindi marketing plan, c’è poco o niente che i social possano fare.

I social funzionano se inseriti in una più ampia strategia che, nella maggioranza dei casi e per la gran parte dei settori, contempla una serie di touchpoint da creare per accompagnare il cliente all’acquisto, non importa quanto l’azienda sia microscopica (vedi per esempio il percorso di acquisto nel settore viaggi).

Questo significa che dobbiamo essere in grado di dire di no a progetti senza arte né parte, senza un chiaro business plan o dalla reputazione distrutta (senza alcun volere di recuperarla con i fatti): difficilmente riusciremo a portare risultati, rischieremo di far buttare ulteriori soldi a piccoli imprenditori disorientati e soprattutto se le cose non vanno bene, come è probabile, la colpa verrà imputata a noi.


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6.  Non promettiamo risultati che non possiamo mantenere e diamo aspettative realistiche

Educare e coinvolgere il cliente, il miglior investimento che un professionista possa fare

A mio avviso, almeno è quello che faccio da quasi 10 anni in questo settore, educare il cliente è il miglior investimento che un professionista possa fare. 

Educarlo a cosa sono i social, come possono aiutare il suo brand, a quali risultati realisticamente possono portare.

È importante quindi chiarire fin da subito:

  • quali sono gli obiettivi del cliente
  • quali sono le aspettative del cliente
  • cosa è ragionevole aspettarsi e cosa no in base alla tua esperienza, mercato, contesto, budget, brand

Anche questa è un’attività che distingue “il gestore amatoriale di account social” dal professionista, ovvero quella di “aggiustare il tiro” degli obiettivi, specialmente da parte di clienti che magari si aspettano di vedere il negozio colmo di clienti il giorno dopo che sono partite le campagne social e dare quindi aspettative realistiche.

7. Lasciamo SEMPRE la paternità degli account social ai clienti

Le proprietà del cliente, siano esse pagine Facebook o account Google Analytics, sono del cliente. Noi siamo partner per la durata della collaborazione.

Sospesa tra professionalità ed etica, questa per me è una regola ferrea e fondamentale: quando creiamo account social o pubblicitari per i nostri clienti, quando creiamo Business Manager o impostiamo un accesso a un nuovo strumento per i nostri clienti, la paternità dello stesso va ai nostri clienti (salvo accordi specifici). 

Questo significa che non solo è professionalmente sbagliato, ma anche moralmente deprecabile l’apertura di un account social di cui solo il professionista è admin o peggio l’annessione al proprio Business Manager di pagine e account pubblicitari che andrebbero gestiti con la formula della partnership.

Negli anni ho assistito a situazioni orribili, come quelle di agenzie che tenevano in ostaggio i clienti avendone gli accessi, aziende che non riuscivano a sganciarsi dai professionisti perché avevano intestato a loro stessi tutte le proprietà e, peggio che mai, uffici marketing che non avevano una chiara idea dell’andamento delle proprie campagne e dello spending perché le stesse venivano gestite da personaggi che inserivano tutti i clienti in un unico account pubblicitario, del quale chiaramente non davano accesso.

8. Stabiliamo delle regole chiare, ancor prima di iniziare

Far comprendere per iscritto al cliente cosa facciamo e come lo facciamo nel dettaglio è fondamentale per il lavoro di tutti i giorni…e per il nostro benessere

Definire i termini della collaborazione, i tempi e le modalità di consegna dei materiali e/o di pubblicazione, il metodo di gestione delle richieste di informazioni che pervengono agli account (es. dalle 9 alle 18, dal lunedì al venerdì, festivi esclusi), le mansioni e le responsabilità di chi è coinvolto (specialmente se si tratta del cliente, che deve darci periodicamente contenuti da poter rielaborare e pubblicare) è parte fondamentale del nostro lavoro.

Non ne na va semplicemente della gestione professionale dei rapporti e dei progetti, ma anche della serenità della nostra vita. No, il cliente non può chiamarci a qualsiasi ora di qualsiasi giorni della settimana, no, non si fanno modifiche all’ultimo minuto tranne casi e eccezionali e no, non facciamo più di quello che è previsto nel contratto, a meno che non siamo noi per primi a volerlo fare e a reputarlo opportuno.

Naturalmente per far sì che tutto fili al meglio possibile è necessario chiarire le regole fin dall’inizio, sia in fase di preventivazione che di contratto.

9. Diamo conto delle nostre attività periodicamente (e in modo comprensibile al cliente)

Un Social Media Manager che non fa periodicamente report delle attività e ne rende partecipe il cliente non è semplicemente un Social Media Manager

L’attività di reportistica è fondamentale, non solo perché permette al cliente di toccare con mano cosa stiamo facendo e quali risultati stiamo ottenendo (e quindi avere contezza di come sta spendendo i suoi soldi), ma anche per noi, perché ci permette di capire come ci stiamo muovendo e se è il caso di aggiustare il tiro.

Attenzione, perché fare un report non significa scaricare gli Insights o mandare un ppt pieno di screenshot (come spiego qui), ma selezionare le metriche che contano davvero (KPI) e rendere soprattutto comprensibile ciò che sta accadendo al nostro cliente, personalizzando il contenuto in base al suo livello di conoscenze (il report che mandi a un ufficio marketing è decisamente differente rispetto a quello che giri periodicamente a un piccolo imprenditore).

10. Personalizziamo e decliniamo i contenuti in base alla piattaforma 

Il Social Media Manager professionista non pubblica lo stesso, identico contenuto massivamente su Facebook, Instagram, Twitter e co., perché sa che ogni piattaforma ha le proprie dinamiche, linguaggi, peculiarità.

Certo, sa che alcuni post sono crosschannel e si prestano bene a diversi social senza grandi modifiche e si possono creare dei piani editoriali che con le dovute modifiche si prestano bene a vari social, ma non per questo si limita a pubblicare gli stessi identici post ovunque, così da risparmiare tempo e modifiche.

Essere un professionista a mio avviso significa anche ottimizzare le risorse e capire dove è il caso di investire, dicendo al cliente, specialmente se è una piccola impresa locale, che è inutile che continui a pubblicare post su Twitter dove è difficile raggiungere le sue target persona, magari è meglio investire di più e con maggiore attenzione su Facebook, Instagram e Google My Business.

Il professionista sa che gli hashtag sono fondamentali su Instagram e che richiedono un lavoro di ricerca e testing, come sa che forse è il caso di evitare di metterne 20 su Facebook, dove hanno tutt’altro peso; sa che non può esimersi dal fare un piano editoriale per le Stories su Instagram e così via.

Il Social Media Manager sa guidare il cliente nella scelta delle piattaforme in cui investire tempo e denaro, sa usare i formati peculiari di ogni piattaforma e personalizzare i contenuti per garantire la massima copertura e interazione.

 

Sì, in giro ci sono tante persone e ce ne saranno ancora di più che si proporranno come “gestori di account social”, ma fare il Social Media Manager professionista è tutta un’altra cosa.

 

L'articolo Il decalogo del Social Media Manager professionista proviene da Veronica Gentili.


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